La bambina che correva le campestri ed è diventata ultra-maratoneta

Come certamente saprai, da qualche anno mi dedico alle ultramaratone.

Run Everesting, White Ultra Run, le mie ultime imprese. Lunghe distanze e salite nel mio DNA. Ora la voglia di cimentarmi in gare di trail e qualche record da battere. Per confrontarmi con me stessa, ma anche con gli avversari.

Ma la mia storia da runner parte da lontano e non certamente con il piglio della ultra-maratoneta. Negli anni delle medie ottengo i primi risultati importanti nelle campestri, ispirata dalle gesta sportive di mio fratello Stefano che primeggiava nelle gare di cross in giro per l’Italia. Oltre che nella corsa campestre, iniziai a cimentarmi in qualche gara in pista, dagli 800 ai 5mila metri che arrivai a correre con discreti risultati.

Nonostante la corsa fosse la mia passione più grande, con il passare degli anni la fiamma si affievolì.

Finché da sfida agonistica diventò uno sfogo post lavoro. Dopo gli anni dell’università diventai una manager di successo, sempre in giro per l’Italia per lavoro e la corsa iniziò ad occupare solo i miei ritagli di tempo. Tutto questo durò per diversi anni, finché l’arrivo dei miei ragazzi mi mise davanti alla dura realtà. Un mamma non può fare la manager.

Fu proprio allora che iniziai a capire quanto la corsa mi mancasse

A quarant’anni mi ritrovai a dover fare i conti con una realtà diversa a quella che avevo immaginato. Avevo investito cosi tanto nel lavoro e questa impossibilità di continuare a svolgere la mansione che ricoprivo prima della maternità, mi mandò letteralmente in crisi.

Riuscii ad uscirne tornando a correre.

Mi rimisi in forma, tornando a correre con più costanza, malgrado i miei noti problemi al cuore. Nel 2013 decisi di coronare un mio sogno sportivo. Attraversare l’Italia nella mia prima impresa 21 volte donna. Allora ero solo ‘una intrigante e pazza donna che correva lungo l’Italia’. Nonostante questo, portai a termine la mia impresa.  E lo feci ricevendo numerose porte in faccia, quasi senza sponsor, senza soldi e soprattutto senza niente da perdere.

Questa impresa mi permise di farmi conoscere nel mondo del running. Abbastanza per trasformare questa mia passione in un lavoro. Da allora altre imprese (le ultime già citate), la collaborazione con Bosch e il progetto ‘Allenarsi per il futuro’ per portare la mia esperienza fatta di passione, determinazione e resilienza nelle scuole e negli atenei di tutta Italia. Da lì ho intrapreso la strada come coach e le collaborazioni con diverse aziende come formatrice.

Ora sono ormai quattro anni che mi dedico alle ultra-maratone.

In quella nicchia formata da quelle corse che sono più lunghe delle maratone, oppure lunghe come una maratona ma su e giù per i sentieri di montagna. Ho scelto una disciplina provante per il fisico e in cui la tolleranza alle sofferenze fisiche e mentali (spesso sono arrivata ad avere le allucinazioni) è probabilmente ancora più importante delle doti fisiche.

Da qualche tempo ho iniziato ad appassionarmi al trail-running, a quelle gare in montagna dove la mente ha la possibilità di non pensare alla fatica grazie alla bellezza di alcuni paesaggi. Gli allenamenti sono senza dubbio diversi, ma il passaggio dalla strada alla montagna è un processo complicato, che non avviene in un solo giorno o una sola settimana. Devi affrontarlo, viverlo, spesso da sola,  e sperare che le cose vadano nel modo giusto.

In queste settimane, quando arrivo in vetta alle salite più impegnative, mi fermo a pensare alla bambina che correva nel fango della Brianza, con le gambe un pò sbucciate e le scarpe sporche. Allora il mio sguardo si abbassa. Le ginocchia a volte sono ancora un pò sbucciate per via delle cadute sui sentieri e le mie scarpe certamente sporche.

Sorrido. Sono passati quarant’anni, ma in fondo quella bambina, per certi versi, non è mai cresciuta.

 

 

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