La mia maratona di Reggio Emilia

Guardo l’ora, 6,30, presto, potrei stare ancora un po’ a letto, tanto è sabato.

Ma è già un’ora che sono sveglia. Mi alzo, colazione con crostata, due fette belle grandi, devo fare il carico di carboidrati! Sistemo in giro, sembro un automa, metto a posto qui e là senza fare un vero ordine.
Alice, la mia splendida gatta, ha la pappa? No ovviamente, mangia cibo al salmone in un attimo. Mi chino per prendere la ciotola e in un istante, in un secondo, rimango bloccata. La mia schiena, si accartoccia. Ed eccomi disperata con le mani sui lombari e un senso di nausea che mi pervade ogni centimetro del mio corpo.
Chiamo Maddy, la mia fisioterapista, amica, donna eccezionale. Mi rincuora, spiegandomi diversi esercizi da fare fino a quando non sento benefici. Provo ma niente. Lei non riesce a vedermi per impegni famigliari. Sento Max, l’osteopata. Comincio a disperare. Riesce ad incastrarmi. Nel primo pomeriggio preparo tutto e vado a Monza. Si occupa della mia schiena e d’accordo con il fisiatra prendo un antinfiammatorio. Parto per Reggio Emilia. In viaggio non canto, non ballo come è mio solito fare. Che strano, penso. Sorridi Ivy, mi dico tra me e me.

Arrivo, in un attimo mi ritrovo in fila per il tampone e poi con un cotton fioc lunghissimo nel naso.

Tutto veloce, troppo veloce. Ambiente surreale. Che tristezza. Esito negativo per fortuna, ritiro il pettorale. Con il sorriso Maria, dell’organizzazione,  mentre mi consegna la maglietta mi guarda e mi dice che delle donne sono la più vecchia. E’ un complimento? Non mi sembra, per nulla. Lascio stare e vado a riposare in albergo. Faccio merenda e per far passare il tempo provo a leggere. Gli occhi si muovono in cerca delle parole, ma il significato non arriva al cervello.
Il mio turno per cenare è alle 20,30. Finalmente tocca a me, mangio pasta in bianco, pollo e patate. Faccio fatica a finire tutto. Ci sono diversi tavolini vicino a me, gli atleti sembrano tutti tristi. Attacco bottone con il mio vicino, Fabio che è allenato dal mitico Giorgio Rondelli. Alle 22,00 sono in camera. Chiamo i ragazzi. Qualche messaggio e decido che forse è meglio dormire. Notte turbolenta, sogni di ogni tipo, come se avessi mangiato un cinghiale.

Alle 6,20 parte la mia attivazione.

Corro per 20 minuti, riesco perfino a perdermi, finisco con 4 allunghi. La mia colazione si basa di 3 fette di pane con burro e marmellata. Sono in attesa di Fabio, il mio grandissimo allenatore.
Non ricordo quando mi vesto  e come. Ho un vuoto. Mi ritrovo in macchina con lui e ci dirigiamo al  campo gara.
Che aria strana che si respira. Ci sono più giudici e organizzatori che atleti. Dove sono finiti tutti quanti? Scopro che posso lasciare la borsa in un capannone. Puoi scegliere la tua sedia. Distanziati 3 metri l’uno dall’altra. Non mi piace. Sono triste.
Pronta con i miei gel nelle tasche della gonnellina, mi dirigo alla partenza. Controllo pettorale. Mi posiziono su un cerchio per terra bianco. Non mi piace. Mi manca la stretta della gente, perfino l’odore di sudore e il toccarsi con le braccia e le gambe. Siamo tutti in silenzio 120 atleti in silenzio. Per fortuna c’è la banda dell’esercito che suona.

A posto… colpo di pistola.

Parto. Niente tifo, nulla. Facciamo i primi due km e ripassiamo dal via, niente urla, niente di niente. Non mi piace. Anche a monopoli ti danno qualcosa se passi dal via!!! Non pensarci Ivy, corri. Corri come sai fare tu. Concentrati. Forse è troppo forte. 4,17 di media. La schiena è sotto controllo, anche perché la mattina ho preso un’altra pastiglia. Per non lasciare due ragazze, continuo a mantenere la media per 20 km, alla mezza sono lontane, le vedo in lontananza. Prendo il secondo gel. Non rispondono bene le gambe. Al cavalcavia, salita 3 % faccio fatica, perché? La mente vaga, non sono lucida, arranco. Mi manca energia. Non mi piace. Cosa succede?

Al 27 km guardo il passaggio, mi demoralizzo.

La testa mi dice che non posso farcela. Mi mancano le forze. La testa comincia a girare. Sono partita troppo forte? Noooooo, urlo dentro di me senza muovere le corde vocali. Mi gira la testa. Non posso continuare. Gli occhi si riempiono di lacrime. Mi fermo, cammino 10 metri. Mi arrendo. Forse è meglio che mi sdraio. Piango senza lacrime. Arriva Fabio. Mi abbraccia. Prova a consolarmi. La sconfitta fa male. Sanguina. Tre mesi di allenamento dopo il record dello Stelvio, senza un attimo di respiro. Sono arrabbiatissima. Ho preteso troppo da me e l’ho pagata.

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