Ritorno alla normalità

Ormai è quasi un mese che ho concluso la Run Everesting e la mia vita scorre, ma una sensazione di vuoto si aggrappa prima alla bocca dello stomaco e poi alla testa.

Non mi sono ancora potuta fermare e realizzare cos’ho portato a termine. È come quando leggi un libro che ti prende per mano in ogni suo singolo capitolo e poi, ad un tratto, ti ritrovi spaesato quando ti rendi conto di averlo concluso. 

Il viaggio è stato duro e colmo di test fisici e mentali da superare per essere pronta nel momento decisivo. Per sei lunghi mesi la mia quotidianità era scandita da allenamenti specifici, obiettivi da raggiungere e resistenza mentale da fortificare. Nemmeno agosto mi ha fermata; mentre tutti si rilassavano sotto l’ombrellone, io macinavo chilometri e chilometri sfidando il sole e le torride temperature estive. Mi stavo preparando per essere straordinaria; non potevo deludervi e deludermi. 
Un percorso lungo e impervio mi ha quindi portato all’impresa, ma ora ho la sensazione che tutte quelle salite siano durate come il battito d’ali di una farfalla. 

Vorrei godermi la straordinarietà dell’impresa, ma dopo poche ore sono stata subito rigettata nel mio flow quotidiano. I doveri di mamma sono i primi ad essere stati richiamati all’ordine; i miei tre figli hanno esternato i loro bisogni e si sa: la mamma è sempre la mamma. 

In secondo luogo il mio lavoro – fortunatamente – mi regala una quotidianità che non può essere trascurata. Ecco perché la mia attenzione si è subito focalizzata su altre sponde, lasciando in soffitta la possibilità di realizzare compiutamente ciò che ho portato a termine.

L’ordinario si mischia con lo straordinario e, a volte, il primo rischia di fagocitare il secondo, non permettendo di godere a pieno il gusto del risultato ottenuto.

Provo una sensazione straniante. L’intensità e l’impegno profuso per la realizzazione di questo evento è come se fossero inversamente proporzionali alla possibilità di razionalizzare le emozioni provate lungo il cammino. 

Allora mi fermo. Prendo fiato, inizio a percepire quel respiro intenso, il battito accelerato, il diaframma che si contrae e le gambe che arrampicano sempre più in alto. Eccola, è arrivata. Una sensazione di compiutezza inizia a presentarsi dentro di me. Le immagini iniziano a prendere forma nella mia testa e si colorano piano piano; proprio mentre riesco a collocare al posto giusto quel turbinio di emozioni che si sono accumulate lungo quegli ottomila ottocento quarantotto metri di dislivello percorsi. Il libro si sta sistemando, i capitoli ora hanno un ordine ben preciso e non mi sento più sola, perchè queste pagine si aggiungono alle altre prendendole per mano, con la consapevolezza che io ne sono l’autrice. 

Sento che mi stanno chiamando, ed allora io rispondo. Sempre.

Alla prossima,

Ivy

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